Al Teatro Santa Chiara, Brescia, debutto nazionale de "La Metamorfosi"
07.02.2014 17:05
CTB Teatro Stabile di Brescia - Emilia Romagna Teatro Fondazione
LA METAMORFOSI dal racconto di Franz Kafka
regia e drammaturgia di Luca Micheletti
scene Csaba Antal – costumi Claudette Lilly – luci Cesare Agoni
drammaturgia musicale Roberto Bindoni – suono Edoardo Chiaf
consulenza filologico-letteraria Lucia Mor
con (in ordine alfabetico) Dario Cantarelli, Laura Curino, Luca Micheletti, Claudia Scaravonati
MARTEDI’ 18 FEBBRAIO 2014 ore 20.30
lo spettacolo replicherà da mercoledì 19 febbraio a domenica 16 marzo 2014
(feriali ore 20.30 – domenica 15.30 – lunedì esclusi)
La letteratura di Kafka è capace come poche altre di tradurre il disagio dell’uomo contemporaneo in mirabili e struggenti parabole sulla compromissione della sanità, sulla subordinazione dell’esistenza alla sussistenza, sulla trasformazione grottesca dell’essere umano in una cosa “alienata”, dotata di un’anima che egli stesso stenta tragicamente a riconoscere e a nutrire. Il caso di Gregor Samsa, che si tramuta senza spiegazioni in un insetto, si fa metafora del cambiamento inesorabile cui l’uomo è costretto quando relegato ai margini dell’umano: lo spettacolo vorrebbe porsi ad emblematico raccordo tra la necessità di raccontare il disagio e il desiderio di denunciarlo; si nasconde, infatti, al fondo del pessimismo più grottesco e nichilista, il bisogno: la richiesta dell’aiuto che stenta tragicamente a farsi udire. La sofferenza psico-fisica e l’apparente differenza o “distanza”, non solo dalla “norma” ma addirittura dall’“umanità”, possono essere osservate come occasioni per riflettere sulla possibilità/impossibilità del soccorso. Gregor che si trasforma in un insetto incarna la metafora d’un bisogno esiziale, quello della diversità esclusa che cerca un contatto, quello dell’umanità che non viene riconosciuta per tale di denunciarsi e tornare a vivere. La metamorfosi può offrirsi come ricco e agile strumento per raccontare un’esperienza di “disabilità”, tanto parossistica da essere metaforica, tanto abnorme da essere universale. Il nesso che il teatro è utile a chiarire è proprio quello tra il protagonista – nell’originale, un anonimo commesso viaggiatore il cui disagio esistenziale si traduce in un incubo più vero del vero – e il disabile all’interno della società contemporanea. Così come la mitologia traduce in chiave allegorico-metaforica i “discorsi” cruciali dell’umanità, la nuova contemporanea “mitologia” di Kafka è in grado di offrire uno straordinario repertorio discorsivo intorno al disagio e alla non accettazione: lo spettacolo teatrale è l’occasione d’affrontare ardue soglie dell’umano innescando nuove possibilità di conoscenza del soggetto in difficoltà. La metamorfosi è guardata come una scintillante allegoria d’un concetto, quello dell’urgenza dell’incontro con l’altro (di cui del resto il teatro è immagine ed emblema), oltre qualsiasi limite. Il destino dei protagonisti è tragico, paradossale e sembra contravvenire a qualsiasi codice etico. L’opera offre però, in questo modo cruciale e scioccante, l’occasione per una ridefinizione della relazione d’aiuto. Lo spettacolo, inoltre, grazie alla chiave prescelta, diviene un laboratorio d’analisi non soltanto dei sentimenti e degli atti del sofferente, ma anche un “confessionale” per il diario intimo di tutti coloro che, in difficoltà, si confrontano con la diversità e la difficile strada dell’assistenza. La metamorfosi non è soltanto quella dell’altro, bensì quella del proprio “io”, posto di fronte alla prova dell’incontro con la diversità.
Scelgo di fare di Gregor Samsa un disabile la cui disabilità non è chiarita: è sia fisica sia cognitiva, per come viene osservata dall’esterno, ma dall’interno egli è perfettamente in ordine: sarebbe “abile” se il mondo che lo ospita fosse diverso, se sapesse anche semplicemente dargli un nome, rifuggendo l’atteggiamento superficialmente eufemistico che connota l’incertezza nello scegliere una categoria adatta a descrivere il soggetto deficitato: handicap, disabilità, diversa abilità, invalidità, alterabilità, etc. … Sono tutte etichette che, col venire preferite a seconda dei casi e dei contesti, svelano l’imbarazzo di verbalizzare l’alterità, di darle uno spazio anche meramente linguistico.
Nella mia riscrittura, è il personaggio della madre che, non riuscendo ad accettare la disabilità del figlio, per spiegarla persegue il grottesco proponimento di raccontarlo come un insetto immane. La storia dell’insetto kafkiano si sovrappone come una filigrana ad una storia di tutti i giorni dove di un corpo si rifiuta tutto, anche il nome, anche l’innominabilità… L’oscenità del corpo in scena si lega proprio a questo celare, a questo rimuovere, sentito come necessario e pure impossibile.
La metamorfosi è la grande storia di un corpo, di un corpo ingombrante, che deborda, che non si può contenere né nascondere in nessun modo. Ed è un fatto con cui, teatralmente, ci si deve confrontare in maniera concreta: quale via deve scegliere l’attore per superare le sue soglie e varcare il limite della rappresentabilità, a maggior ragione nel confronto con un corpo innominabile, altro assoluto? Io credo che sia una scelta per certi versi “politica”. L’impotenza del corpo (immagine dell’impotenza dello spirito) è per Kafka, del resto, un fantasma di rivoluzione: la “non-violenta” opposizione ad un potere che si combatte appunto attraverso il suo contrario, attraverso il non-potere… Chi vive sul ciglio dell’umanità contribuisce a definirla.
Luca Micheletti
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