Cinquant'anni di memoria e di fratellanza: ovvero 50 Pellegrinaggi in Adamello

05.03.2014 13:09

Cinquant'anni di memoria e di fratellanza: ovvero cinquanta Pellegrinaggi in Adamello, la montagna sacra della prima guerra mondiale. Era necessario e direi anzi doveroso che qualcuno si assumesse la non lieve fatica di raccogliere documenti, testimonianze, fotografie che ci aiutassero a ripercorrere questi straordinari eventi che hanno portato sulle nevi dell'Adamello migliaia di alpini e tanta tanta gente comune.
L'identità spirituale
Bene ha fatto la Sezione Alpini di Vallecamonica, il suo presidente Giacomo Cappellini, il suo Consiglio Direttivo, ad affidare a Nino Stivala l'incarico di riordinare i fili della memoria per trarne un racconto scrupoloso, preciso, avvincente, appassionato, eppure sempre vigile secondo la misura di uno stile sobrio ed essenziale. Nino Stivala sa scrivere molto bene, è alpino di lungo corso, praticamente da sempre fa parte del Consiglio Direttivo Ana, è direttore e redattore del giornale degli alpini camuni Noi de' la Val Camonica; insomma la persona giusta per rievocare nelle pagine di un libro cinquanta Pellegrinaggi, ognuno segnato da una sua caratteristica, da una sua identità, in modo da evitare la ripetitività, riscoprendone anzi la freschezza e l'originalità.  
E il libro che ne è uscito si presenta anche in una bella edizione curata dalla Tipografia Camuna.
Il racconto (e quindi l'evento) ha un suo precursore, un suo antesignano, un suo ideatore e questi si chiama Luciano Viazzi.
A lui è stata affidata l'introduzione: «Ricordi sui radunipellegrinaggi ai campi di battaglia della Guerra Bianca sull'Adamelllo».  
Luciano Viazzi aveva già avuto modo di percorrere in lungo e in largo le vie dell'Adamello, girandovi anche un documentario lungometraggio e scrivendo un libro dal titolo accattivante: I diavoli dell'Adamello. Aveva riferito della sua esperienza sul mensile ufficiale dell'Ana Nazionale: L'Alpino.
Aveva coinvolto gli adamellini superstiti e sopra tutti quello Zani Sperandio che era stato guida e quindi alpino dell'Edolo.  
Dall'incontro di pensieri, di sentimenti, dalla condivisione di emozioni, dal dovere di ricordare il sacrificio di quanti combatterono sul più alto fronte della prima guerra mondiale immolandovi la vita, da questo insieme di circostanze di luogo, di tempo, di mente e di cuore è nata l'idea del raduno, ovvero del riportare sull'Adamello coloro che là avevano combattuto per un dovere pesante, tra immensi sacrifici.
Su queste premesse si svolse il primo raduno dal 3 al 6 agosto 1963. Tra il partecipanti c'era anche un giovane dalignese, il maestro Pier Antonio Odelli.
La colonna era diretta al Corno del Cavento. Giunti nei pressi della vetta  scriverà il giorno dopo sul Giornale di Brescia Mino Pezzi  la guida Odelli si fermava e si rivolgeva al tenente del battaglione Baltea, Fabrizio Battanta, il conquistatore del Cavento, e gli lasciava il passo, come sigillo delle sue imprese, quasi si trattasse di una nuova conquista.  Tra quanti parteciparono a quel primo Pellegrinaggio c'erano, oltre ad alcuni reduci adamellini  l'ing. Ambrosini di Verona, il soldato Pietro Ronconi di Gravedona, Carlo Belotti di Montirone, tanto per fare qualche nome  c'erano anche il dei giovani tra cui Giorgio Gaioni e quel Gianni De Giuli che, divenuto presidente della sezione Ana camuna, farà dei Pellegrinaggi un evento nazionale, coinvolgendo alpini in armi e i loro comandanti, autorità politiche e religiose.
L'indimenticabile cappellano
Tra quest'ultime rimarranno indimenticabili il volto, la voce e la parola di don Enelio Franzoni, nei quali vi era il palpito del cappellano che sulle desolate steppe russe aveva raccolto l'ultimo e supremo respiro dei suoi soldati. Vi era, ancora viva e bruciante la passione  passio Christi  di tanti ragazzi che innocenti avevano anch'essi salito il loro inenarrabile calvario. E quel ricordo di Russia ora si saldava e si alimentava nel ricordo e nella pietà dei caduti sull'Adamello, dell'uno e dell'altro fronte. De Giuli aveva ben capito lo spirito del cappellano. Lo voleva ad ogni Pellegrinaggio. Voleva che celebrasse la Messa come quella memorabile presso la tomba, allora scoperta, dei cinque soldati austriaci «caduti per la loro patria» (come recita la semplice epigrafe scolpita sul granito dagli alpini italiani ancora in guerra).
Con De Giuli i Pellegrinaggi divennero un atto corale di tutti gli alpini d'Italia. Lo testimonierà emblematicamente la presenza del labaro con i Presidenti Nazionali via via succedutisi.
«Carissimi alpini»
A De Giuli va, in particolare, il merito due iniziative che consacrarono definitivamente i Pellegrinaggi: l'iniziativa di avere sulle nevi dell'Adamello per il venticinquesimo Pellegrinaggio Giovanni Paolo II. Fu insostituibile ambasciatore presso il papa il nostro monsignor Giovanni Battista Re che allora era sostituto alla Segreteria di Stato, che godeva della stima e della fiducia di Papa Woytila e che diventerà una presenza preziosa in tutti i pellegrinaggi.
Ricordo gli incontri di Roma per preparare ogni dettaglio, perché la presenza del papa (che già aveva conosciuto le nevi dell'Adamello come “turista” sciatore accompagnato da Sandro Pertini: su quest'esperienza ha scritto un bel libro Lino Zani che del papa fu maestro di sci in quell'occasione) avesse tutti i crismi della celebrazione del sacrificio degli alpini nella celebrazione del sacrificio di Cristo.
Giovanni Paolo II apriva la sua toccante omelia con queste parole: «Carissimi alpini».
La seconda iniziativa di De Giuli fu di portare sulle stesse vette che videro contrapposti soldati italiani e soldati austraici, alcuni rappresentati dei reduci austriaci e poi un picchetto di militari tedeschi  i Gebirstruppen  perché si stringessero la mano, in un questo clima, semplice nei gesti, ma alto e nobile nei significati.
Il supporto delle guide
La partecipazione al Pellegrinaggio di anno in anno si infittiva. I problemi logisti da affrontare non erano pochi né di poco conto: la sicurezza, gli alloggiamenti nelle tendopoli, il ristoro, l'ordine delle traversate, specie del Pian di Neve.
In cima a tante preoccupazioni c'era la sicurezza e in cinquant'anni non c'è mai stato un incidente di una qualche rilevanza. Il merito principale va alle guide alpine che prestarono la loro opera volontariamente e tra esse va ricordato il nome di Romano Cresci, di Guido Cenini e il nome di Armando Poli, quell'Armando che sarà poi chiamato per ben dieci anni alla presidenza del Soccorso Alpino Nazionale.
Ad Armando Poli ancora oggi devo riconoscenza, perché in una salita a Punta Lago Scuro, alla mitica capanna di Giovanni Faustinelli, le mie forze mi abbandonarono e fu Armando a rimettermi in piedi.
E ciò che è capitato a me sarà capitato a molti altri.
Negli ultimi anni il Pellegrinaggio ha assunto un'altra piega, certamente positiva, diventando il Pellegrinaggio della Sezione Ana di Valle Camonica e della Sezione Ana di Trento.
Ma è giusto che così sia stato deciso.
E' un poco cambiata la formula ma non la sostanza, quella sostanza spirituale che lega ad ogni Pellegrinaggio il nome e il ricordo di chi con la sua vita ha dato valore e valori alla storia degli alpini.

Di Eugenio Fontana

—————

Indietro