Gli orizzonti infiniti di Pino Veclani

13.01.2015 12:59

IL DESERTO NELLA MONTAGNA
DI EUGENIO FONTANA

Pino Veclani è fotografo in Ponte di Legno, ma la qualifica è assai, troppo riduttiva: Pino Veclani è un artista della fotografia, un realizzatore di immagini inedite e suggestive,  creatore di una “sfolgorante poesia del vero”. Ma anche quest’ultima definizione di Ansel Adams rischia di condurci fuori strada, non già in forza dell’aggettivo “sfolgorante” e del sostantivo “poesia”, ma per l’evocazione di quel “vero”. Da  più di un secolo  infatti, forse anche perché la fotografia nasce più o meno nello stesso periodo del movimento impressionista che aveva scalzato il realismo per far posto alle sole impressioni visive, anche del tempo e dello spazio, la fotografia - si diceva - aveva finito per sostituire la pittura, occuparne il posto, farsi carico della “realtà”, del “vero”, tanto che ancora oggi (sono duri i pregiudizi a morire!) la gente comune per definire la riuscita di un quadro ricorre all’espressione: «Sembra una fotografia». Ma non è così.
I grandi fotografi (e Pino Veclani è tra questi) non si limitano a riprodurre un dato reale, oggettivo, materiale, insomma per dirla con Cartesio, una res extensa. Certo, il dato reale c’è: si chiami natura, albero, montagna, lago o cielo. Non a caso (nelle ultime pagine) del suo bel volume Veclani si è peritato di dare una breve descrizione del luogo ove la fotografia è stata scatta; sul Pianaccio del Mortirolo, al Passo del Tonale (le sue montagne), ma anche con qualche escursione o incursione nel vicino Lago d’Iseo e delle sue Torbiere e, al lato opposto della Valle, i Laghetti dei Monticelli, il Lago Bianco, il Lago Verde e il Lago Nero del Passo Gavia per non dire dell’incantevole Valle di Viso, per  e spingersi poi oltre l’Adamello, verso la Presanella. Ma tutto questo costituisce solo la materia del fotografare. IL fotografo-artista la interpreta, apre nuove prospettive alla visione, ci immette in dimensioni che non avremmo mai immaginato. Si comporta e agisce un po’ Paul Czézanne che diceva di voler dipingere sur nature, sopra la natura, meglio “oltre la natura”. Ed è per questo che il lavoro del fotografo è fatto di un’attenzione particolare e spasmodica, di lunghe attese, di appostamenti, di prove e riprove fino a quando, secondo il suo intuito e la sua sensibilità creatrice, ritiene che sia giunto il momento giusto per lo scatto giusto. Naturalmente ciò esige esercizio, passione ed anche alta professionalità tecnica; ci vuole la tecnica e la mente. Tutte doti che Pino Veclani possiede e dimostra di possedere, in maniera egregia, nei volumi che è venuto pubblicando - volumi d’arte - da Terre Alte (2004), ai Sentieri della luce (2008) e al Silenzio dei colori (2011).   
Dalle dune di neve alla “presenza”   
L’ultima fatica  di Pino Veclani si intitola (e già il titolo è un indizio prezioso) Il deserto della montagna. Si avvale di una breve Introduzione di Fausto De Stefani il quale giustamente osserva come le immagini di Pino Veclani «siano colte come un attimo, che non sottintende parola. Evocano il silenzio profondo» dei grandi spazi della natura, della montagna. Proprio questa dimensione mi richiama un altro grande artista della montagna, il pittore Giovanni Segantini: anche lui con i suoi colori vivissimi di luce purissima e le sue tele voleva salire sempre più in alto per avvicinarsi al mistero della natura e del creato avvolto da cieli azzurri, immersi nell’alba, nel  tramonto, nella notte. Basta guardare le fotografie delle pagine 102-103 e leggere la breve didascalia. «Un nuovo giorno si accende in alta quota, tra i colori dell’estate e le prime luci sul Pietrarossa». Non ci sono parole adatte per commentare la fotografia delle pagine 114-115. L’artista-fotografo si limita ad annotare:«Il sole si specchia nei laghi di Ercavallo». È un cuscinetto di Silene, il muschio che fiorisce tra le rocce, a dare il benvenuto alla primavera, mentre i licheni si incaricano di accogliere l’autunno. Poi arriverà il bianco manto della neve (bellissimo il titolo della prima sezione: Dune di neve e niente). Sarà lei - la neve -  a date il titolo al volume: Il deserto della montagna illuminato dai riflessi cristallini del sole, dove «la solitudine diventa un dono».
Da parte sua Anna Veclani ha introdotto qua e là, con molta discrezione, quasi in punta di piedi, delle brevi intense descrizioni che vogliono solo segnare una traccia, lasciare un indizio. Qualche esempio. «Dune di sabbia o distese infinite di neve. Caldo torrido o freddo agghiacciante. Nel cuore, le stesse emozioni: solitudine e tristezza, che a tratti sfiorano l’angoscia. Sì, ma perché?» «Il dolore è fatica. Il dolore è sofferenza. Ma è anche ascolto: ascolto del cuore, della mente, dell’animo.» «Arbusti e fiori provano a liberarsi dal peso, divenuto ormai insopportabile, della coltre bianca.» Non solo queste descrizioni accompagnano singole fotografie, ma talvolta introducono anche moti di riflessione, non dirò moralistica, ma esistenziale. Un solo esempio. «Le increspature del cuore aumentano. Il ghiaccio, lassù, sta per scoppiare, pronto ad arrendersi alla primavera che avanza. Bisogna morire per rinascere.»
La struttura del volume
Abbiamo accennato alla prima sezione dell’elegante volume che è la più corposa e nella quale sono protagoniste le Dune di neve che si perdono e si confondono nell’aere turbinoso, suscitando spazi immensi, orizzonti che confinano con il cielo, lasciando qua e là qualche timido accenno di vegetazione, arbusti scheletriti. Vi sono poi altre sezioni non meno interessanti. Intrigante è il titolo della seconda sezione: Cieli, Nuvole, Riflessi e Tramonti. Più che di fotografie, si tratta di quadri di alta pittura, con quelle nuvole che disegnano strane geometrie nei cieli tersi anche quando si lasciano toccare dai raggi del sole, assumendo nuove forme e nuovi colori. La speranza non muore. La luce è il segno dell’eterna speranza ed un atto di fiducia nella vita. Sulle alte vette Veclani coglie il primo spuntare della stella del sole e vede montagne dorate appena imbiancate sulle cime. Da questa visione sgorga naturale e quasi obbligata la terza sezione: Il Verde e l’Acqua: la Rinascita e il Risveglio. Qui le montagne giocano con l’acqua dei laghetti che raccolgono e custodiscono come propria creatura. Bastano poche anche fotografie per rendersi conto della qualità dell’opera. Segnalo, fra le tante, le due fotografie delle pagine 102-103 o quella maestosamente frastagliata delle pagine 104-105. A completare il volume concorre la sezione Animali e Fiori: la Presenza  che fa da contrappunto alla prima sezione. Si tratta di fiori di alta montagna e gli animali che Veclani preferisce immortalare sono greggi di candide pecore  disperse sui tornanti sterrati che portano agli ultimi pascoli.
Non sarà affatto esagerato definire il volume di Pino Veclani come un inno alla vita che dai deserti delle alte montagne scende a valle formando ruscelli e torrenti, rendendo verdi i prati, insomma donando all’uomo l’ambiente naturale in cui vivere: lui e i suoi animali.
Ha perfettamente ragione Nicola Rocchi quando introduce la sua nota biografica e critica La pazienza del sognatore con queste Parole: «Veclani, la sua montagna ormai è trasfigurata in un sogno.»

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