Maestri bresciani del Novecento: fino al 22 dicembre 2012 alla Galleria Ab/art

04.12.2012 06:26


I pittori della realtà: Maestri bresciani del Novecento: fino al 22 dicembre 2012 alla Galleria Ab/arte
 I pittori bresciani del Novecento sono in esposizione alla Galleria Ab/arte di Brescia fino al prossimo 22 dicembre. L’esposizione è curata da Andrea Barretta con allestimento di Riccardo Prevosti.
In mostra opere di importanti esponenti artistici del momento, come Enzo Abeni, Franco Bertulli, Vittorio Botticini, Dino Decca, Oscar Di Prata, Tita Dondelli, Natale Doneschi, Franco Fratti, Piero Galanti, Ottorino Garosio, Gabriel Gatti, Augusto Ghelfi, Dante Graziotti, Ermete Lancini, Clara Marengoni, Tancredi Muchetti, Pierca, Piero Robolini.
Filo conduttore la rappresentazione della realtà indagata nella sua quotidianità, sia essa un paesaggio o un cesto di frutta o i tratti di un volto di donna o un vaso di fiori: l’importante è abbandonare l’idea neoclassica di contenuto aulico o di personaggi importanti. Insomma i pittori realisti riprendono in parte quanto già fatto da Caravaggio a Giacomo Ceruti, con il raffigurare scene di lavoro e la vita di tutti i giorni, in contrasto con quanto si riteneva come poco nobile o addirittura serio da rappresentare.
La pittura di questo primo Novecento, come per quella dei “macchiaioli” in Toscana, è forte e i colori netti a indicare un andare oltre quel romanticismo di maniera o di “genere” che imperava a quel tempo; basti citare Giovanni Fattori e Telemaco Signorini per ufficializzare questa nuova tendenza stilistica in Italia, tanto da avvicinarsi agli impressionisti se non fosse per la mancanza di quella vivacità cromatica tipica di questo movimento. Nell’arte, dunque, il “realismo” è la realtà nei suoi diversi aspetti, ovvero è quanto Gustave Courbet affermava nell’indicare la forza espressiva che sta nella pittura e non in quanto rappresentato.

L’arte bresciana arriva alla metà del XX secolo caratterizzata da alcuni maestri che guardano al “reale” ma senza rientrare in alcun movimento ufficiale che non sia il ritrovarsi in mostre per incontri d’amicizia più che di “manifesto”. Se andiamo, infatti, oltre il desiderio di rinunciare al provincialismo culturale con artisti come Dino Decca, uno dei rappresentanti del “verismo” italiano che operava e soggiornava a Roma e Parigi, o come Piero Galanti che partecipa alla Quadriennale di Torino del 1924 e alle Biennali di Venezia del 1930 e del 1942, a Brescia troviamo solo un piccolo gruppo di artisti chiamato dei “7 Pittori della Realtà”cui Decca e Galanti aderivano con Angelo Fiessi, Adolfo Mutti, Martino Dolci, Gàbriel Gatti, Franco Bertulli.
Il modus operandi, però, resta quello di poetiche personali in spazi fisici che denotano il gene pragmatico della terra bresciana che non era un crocevia intellettuale artistico, dove le correnti di pensiero si stemperavano nella frequentazione di osterie, come per il “Cantinone” di Via Cavallotti animato da Dondelli, dove alcuni di questi artisti si ritrovavano. Artisti, dunque, diversi tra loro, lontani da un rapporto tra arte e società, e se già in letteratura Verga, ma pure Edmondo de Amicis e Matilde Serao, erano accomunati dalla volontà di descrivere l’ambiente e i caratteri, pur senza dare criteri morali, nell’arte realista del Novecento bresciano mancherà la descrizione della vita del proletariato, dell’impegno pubblico, e di particolari tali da rendere una possibile definizione di stile realista unitario, e meno ancora da influenzare un ambito nazionale.
Eppure una nota in comune c’è, ed è quella di distinguersi per l’essenzialità che non capitola al pittoresco; comune anche al carattere dei bresciani, gente dalle tradizioni contadine, di vita genuina nelle cascine sparse per ogni dove, che guarda al sodo e al lavoro. Terra di cultura e di fede radicate in una ricerca della verità di rappresentazione che avviene in modo distaccato e non abbandona la traccia del disegno.
Ottimi ritrattisti, con quella malinconia velata dai freddi inverni, come nel volto di donna di Doneschi o nei tratti di Oscar Di Prata; ottimi paesaggisti, con il colore denso e dai contrasti di ombre chiaroscurali, come tra le case di Robolini; ottimi naturalisti, con pennellate prospettiche di sperimentazione, come in Gabriel Gatti, o in oli dove la materia assume un aspetto osmotico con il soggetto, come in un cesto di ciliegie di Dondelli o in un insieme di mele di Bertulli o nella frutta con brocca di Galanti, oppure nelle composizioni d’interno di Botticini e di Garosio.
O come per le due donne di questa collettiva: Pierca (Piera Carla Reghenzi) che concreta una pittura d’istinto che la porterà all’astrazione in una ricerca volumetrica di superfici; e Clara Marengoni che ha frequentato la Const Fack Accademie di Stoccolma e che trasporta nelle sue tele mitizzanti “pacifiche” colombe.

E se Franco Fratti, con una documentazione presso l’Archivio storico della Biennale di Venezia, alterna pittura e scultura, e Abeni verrà definito come lo scultore dei “sassi”, e se Ghelfi disegna e realizza vetrate per chiese e cappelle, ognuno di loro attraversa una stagione di grandi rinnovamenti e di fermenti pittorici sull’onda dell’ultima ricerca artistica europea, come il postcubismo realista. Non solo.
Alcuno di loro alternerà l’attività da cavalletto a parallelismi che vanno dall’astrattismo lirico all’informale e alla composizione segnica, e avrà contatti con artisti di levatura internazionale, come per Botticini con Vedova, Morlotti e Santomaso, o per Dante Graziotti quando scopre Giorgio Morandi o per Di Prata che guarda a Rouault, o Muchetti con il suo “lago” e il suo teatro delle marionette che arriva anche negli Stati Uniti.
Poi l’arte come pura esperienza culturale come per Lancini, di cui non si annotano personali in vita, preso da un percorso di ricerca tra Picasso, Schwitters e Rauschenberg, perché diceva: “la pittura è una cosa - un oggetto - non un atteggiamento, una interpretazione”. Andrea Barretta
I pittori della realtà
Maestri bresciani del Novecento: fino al 22 dicembre alla Galleria Ab/arte


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dalla redazione
Brescia - I pittori bresciani del Novecento sono in esposizione alla Galleria Ab/arte di Brescia fino al prossimo 22 dicembre. L’esposizione è curata da Andrea Barretta con allestimento di Riccardo Prevosti.
In mostra opere di importanti esponenti artistici del momento, come Enzo Abeni, Franco Bertulli, Vittorio Botticini, Dino Decca, Oscar Di Prata, Tita Dondelli, Natale Doneschi, Franco Fratti, Piero Galanti, Ottorino Garosio, Gabriel Gatti, Augusto Ghelfi, Dante Graziotti, Ermete Lancini, Clara Marengoni, Tancredi Muchetti, Pierca, Piero Robolini.
Filo conduttore la rappresentazione della realtà indagata nella sua quotidianità, sia essa un paesaggio o un cesto di frutta o i tratti di un volto di donna o un vaso di fiori: l’importante è abbandonare l’idea neoclassica di contenuto aulico o di personaggi importanti. Insomma i pittori realisti riprendono in parte quanto già fatto da Caravaggio a Giacomo Ceruti, con il raffigurare scene di lavoro e la vita di tutti i giorni, in contrasto con quanto si riteneva come poco nobile o addirittura serio da rappresentare.
La pittura di questo primo Novecento, come per quella dei “macchiaioli” in Toscana, è forte e i colori netti a indicare un andare oltre quel romanticismo di maniera o di “genere” che imperava a quel tempo; basti citare Giovanni Fattori e Telemaco Signorini per ufficializzare questa nuova tendenza stilistica in Italia, tanto da avvicinarsi agli impressionisti se non fosse per la mancanza di quella vivacità cromatica tipica di questo movimento. Nell’arte, dunque, il “realismo” è la realtà nei suoi diversi aspetti, ovvero è quanto Gustave Courbet affermava nell’indicare la forza espressiva che sta nella pittura e non in quanto rappresentato.

L’arte bresciana arriva alla metà del XX secolo caratterizzata da alcuni maestri che guardano al “reale” ma senza rientrare in alcun movimento ufficiale che non sia il ritrovarsi in mostre per incontri d’amicizia più che di “manifesto”. Se andiamo, infatti, oltre il desiderio di rinunciare al provincialismo culturale con artisti come Dino Decca, uno dei rappresentanti del “verismo” italiano che operava e soggiornava a Roma e Parigi, o come Piero Galanti che partecipa alla Quadriennale di Torino del 1924 e alle Biennali di Venezia del 1930 e del 1942, a Brescia troviamo solo un piccolo gruppo di artisti chiamato dei “7 Pittori della Realtà”cui Decca e Galanti aderivano con Angelo Fiessi, Adolfo Mutti, Martino Dolci, Gàbriel Gatti, Franco Bertulli.
Il modus operandi, però, resta quello di poetiche personali in spazi fisici che denotano il gene pragmatico della terra bresciana che non era un crocevia intellettuale artistico, dove le correnti di pensiero si stemperavano nella frequentazione di osterie, come per il “Cantinone” di Via Cavallotti animato da Dondelli, dove alcuni di questi artisti si ritrovavano. Artisti, dunque, diversi tra loro, lontani da un rapporto tra arte e società, e se già in letteratura Verga, ma pure Edmondo de Amicis e Matilde Serao, erano accomunati dalla volontà di descrivere l’ambiente e i caratteri, pur senza dare criteri morali, nell’arte realista del Novecento bresciano mancherà la descrizione della vita del proletariato, dell’impegno pubblico, e di particolari tali da rendere una possibile definizione di stile realista unitario, e meno ancora da influenzare un ambito nazionale.
Eppure una nota in comune c’è, ed è quella di distinguersi per l’essenzialità che non capitola al pittoresco; comune anche al carattere dei bresciani, gente dalle tradizioni contadine, di vita genuina nelle cascine sparse per ogni dove, che guarda al sodo e al lavoro. Terra di cultura e di fede radicate in una ricerca della verità di rappresentazione che avviene in modo distaccato e non abbandona la traccia del disegno.
Ottimi ritrattisti, con quella malinconia velata dai freddi inverni, come nel volto di donna di Doneschi o nei tratti di Oscar Di Prata; ottimi paesaggisti, con il colore denso e dai contrasti di ombre chiaroscurali, come tra le case di Robolini; ottimi naturalisti, con pennellate prospettiche di sperimentazione, come in Gabriel Gatti, o in oli dove la materia assume un aspetto osmotico con il soggetto, come in un cesto di ciliegie di Dondelli o in un insieme di mele di Bertulli o nella frutta con brocca di Galanti, oppure nelle composizioni d’interno di Botticini e di Garosio.
O come per le due donne di questa collettiva: Pierca (Piera Carla Reghenzi) che concreta una pittura d’istinto che la porterà all’astrazione in una ricerca volumetrica di superfici; e Clara Marengoni che ha frequentato la Const Fack Accademie di Stoccolma e che trasporta nelle sue tele mitizzanti “pacifiche” colombe.

E se Franco Fratti, con una documentazione presso l’Archivio storico della Biennale di Venezia, alterna pittura e scultura, e Abeni verrà definito come lo scultore dei “sassi”, e se Ghelfi disegna e realizza vetrate per chiese e cappelle, ognuno di loro attraversa una stagione di grandi rinnovamenti e di fermenti pittorici sull’onda dell’ultima ricerca artistica europea, come il postcubismo realista. Non solo.
Alcuno di loro alternerà l’attività da cavalletto a parallelismi che vanno dall’astrattismo lirico all’informale e alla composizione segnica, e avrà contatti con artisti di levatura internazionale, come per Botticini con Vedova, Morlotti e Santomaso, o per Dante Graziotti quando scopre Giorgio Morandi o per Di Prata che guarda a Rouault, o Muchetti con il suo “lago” e il suo teatro delle marionette che arriva anche negli Stati Uniti.
Poi l’arte come pura esperienza culturale come per Lancini, di cui non si annotano personali in vita, preso da un percorso di ricerca tra Picasso, Schwitters e Rauschenberg, perché diceva: “la pittura è una cosa - un oggetto - non un atteggiamento, una interpretazione”. Andrea Barretta da Popoplis
 

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